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LA TORCITURA DI BORGOMANERO

Borgomanero, verso la metà del 1800, vantava già un'economia artigiana e pre-industriale alquanto diffusa. Si trattava per lo più di piccole manifatture tessili anche se nel 1845 si contavano ben sette filande di bozzoli e quattro filatoi di seta. La seta era prodotta da bachi allevati in zona. Del resto la coltivazione del gelso risultava molto diffusa e negli elenchi catastali parecchi prati risultavano moronati.

L’allevamento dei bachi veniva svolto su comuni graticci di canne disposte nei solai delle case o ad un piano elevato dell’edificio e la produzione era notevole: basti pensare che ancora nel 1928 si produssero 7500 kg di bozzoli che vennero venduti a 16-18 lire al kg.

La prima torcitura di seta a motore idraulico fu la ditta Imperatori di Verbania, chiamata dai borgomaneresi “fabbrichin” e impiantata nell’ultimo ventennio del XIX secolo. Nel 1887 vi lavoravano 4 uomini, 57 donne, 29 fanciulle tra i 12 e i 14 anni e 8 sotto i 12 anni. Altre 76 donne erano impiegate nei reparti dell’incannatoio e dello stracannatoio.

Nel 1890 cominciò una recessione che portò, attraverso numerose vicende, al declino della fabbrica e dopo un incendio al passaggio dei nuovi proprietari, Stichel e Wollert-Strazza. Intorno al 1920 l’impianto industriale venne chiuso definitivamente.

In concomitanza al declino del “fabbrichin” veniva aperta lungo Corso Sempione una filiale della manifattura francese “Generale Soie” di Lione. La ditta, chiamata “Charollais, E. Pirjants, J. De Micheaux e C. Setificio”, fu battezzata dai borgomaneresi “Fabbricòn” oppure “Charollais” o “scirulè” dal nome del suo vicepresidente ing. Charollais.

La manifattura iniziò l’attività nel 1902: una semplice cerimonia il 25 febbraio di quell’anno inaugurava il grandioso stabilimento di filatura e torcitura della seta.

Il progetto dell’ing. Sozzi di Milano ebbe la direzione dei lavori affidata agli ingegneri Croppi e Tinivella e richiese circa due anni di lavoro per portare a termine le costruzioni che si estendevano su 20.000 m².

Il presidente della SOMS di Borgomanero Majoni Francesco, il giorno 7 di febbraio del 1902 aveva richiamato i soci sulla importanza di questo evento: “a giorni si aprirà il grandioso setificio, nel quale troveranno modo di guadagnarsi onestamente il pane parecchie centinaia di persone, a vantaggio della nostra classe operaia; perciò ritengo che la Società compia un dovere nel porgere alla Ditta gli atti della sua viva riconoscenza per avere voluto scegliere Borgomanero per sede di un’industria che altre volte, prima dell’invenzione delle macchine idrauliche ed a vapore, era la principale fonte di guadagno del nostro Borgo”.

Dopo l’inaugurazione, con il taglio del nastro e la benedizione dei fabbricati, la Ditta offrì un pranzo presso l’Albergo Ramo Secco appositamente addobbato con tricolori francesi in omaggio a Charollais.

Nel 1907 avvenne una seconda inaugurazione alla presenza dal re Vittorio Emanuele III di passaggio a Borgomanero in occasione delle Grandi Manovre del Sempione (settembre 1907).

Il 24 agosto 1912 in occasione delle feste commemorative del cinquantenario della SOMS  borgomanerese la torcitura venne visitata dal Ministro delle Finanze Onorevole Facta.

Lo stabilimento arrivò già dai primi anni a impiegare circa 700 operai in gran parte personale femminile di età molto giovane in quanto erano richieste dita affusolate e molto piccole per il lavoro all’incannatoio.

I pochi uomini erano impiegati come meccanici per i macchinari tessili, come fuochisti oppure come artigiani nella falegnameria interna che costruiva le casse con le quali veniva spedito il prodotto finito.

Le lavoratrici provenivano non solo da Borgomanero ma anche dai paesi e dalle frazioni vicine: da S. Cristina, Vergano, S. Marco, Cressa e via dicendo. Al sorgere del sole si poteva udire uno scalpiccio crescente dovuto agli zoccoli in legno delle operaie che raggiungevano a piedi lo stabilimento.

È evidente come, tra la fine dell’Ottocento ed il primo decennio del Novecento, la produzione industriale capitalistica aveva modificato la vita familiare e sociale avviando una minoranza femminile, in particolare del ceto medio-basso, all’occupazione ed al lavoro salariato mettendo a confronto due modelli di produzione, quello contadino e quello operaio. Due modelli caratterizzati da nette differenze, come ad esempio la retribuzione, che per le donne nel caso del lavoro agricolo era distribuita su tutti i componenti del nucleo familiare, nell’ottica dell’economia di sussistenza collettiva e giuridicamente attribuita al capo famiglia, mentre si trasformava in individuale e nominale nel caso del lavoro di fabbrica.

La torcitura di Borgomanero lavorava secondo il seguente schema produttivo: incannatoio,  binatoio, torcitoio e roccatura.

La seta arrivava principalmente dal Giappone, giungeva sui carri merci fino alla stazione ferroviaria di Borgomanero e successivamente veniva trasportata con carretto trainato da cavalli presso gli stabilimenti. Tramite l’incannatoio i fili erano trasferiti dalla matassa a un rocchetto: questa operazione richiedeva, come abbiamo già detto, mani molto piccole e dita affusolate. Non solo, ma le dita dovevano essere molto lisce, la minima screpolatura poteva rovinare il filo, pertanto alle operaie veniva distribuita, a cura della torcitura, una crema che le dipendenti dovevano mettersi ogni volta si lavavano le mani. Ogni mattina le maestre passavano in rassegna le mani delle operaie e se non erano perfette potevano rimandarle a casa perdendo la giornata di lavoro.

Il binatoio, come suggerisce il nome, univa i fili a due a due per rendere il filato più resistente. Si passava poi alla torcitura che consisteva in un passaggio del filo da rocchetto a rocchetto, che provocando nel filo una torsione, lo rinforzava ulteriormente. Infine si passava alla roccatura dove si produceva la confezione finale del prodotto.

Negli anni ’30 del 1900 i reparti lavoravano tutti con il doppio turno, dalle 6 alle 14 e dalle 14 alle 22, salvo la torcitura che lavorava tutto l’anno sui tre turni non fermando quindi mai la produzione.

Malgrado, come abbiamo avuto modo di dire, la seta provenisse per lo più dal Giappone rimaneva una piccola percentuale legata alla produzione di bachi allevati in zona. Nel periodo tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate i cancelli della torcitura rimanevano aperti giorno e notte e soprattutto durante le ore notturne vi era un continuo via vai di carretti condotti a mano, provenienti dalle frazioni e dai paesi della plaga borgomanerese che consegnavano i bachi prodotti dalle famiglie in loco.

Nel 1923 si ritirano gli investitori francesi e la fabbrica di Borgomanero dovette affrontare una crisi dovuta alla concorrenza delle sete asiatiche e giapponesi oltre che la crisi mondiale del 1929. Senza mai abbandonare la produzione originaria della seta, la linea venne estesa anche alla lavorazione del cotone e delle fibre artificiali dove l’azienda riuscì a mantenere un ottimo standard con i filati di poliammide a marchio Borgolon.

Alla fine degli anni ’60, in un clima di crescente tensione sociale, la torcitura visse un periodo di occupazione a partire dal 16 maggio 1969: operai e studenti insieme, rivendicarono condizioni salariali e di lavoro più dignitose. Non mancarono momenti di vera tensione e a fianco degli occupanti ci furono personaggi come Dario Fo e Franca Rame oltre a Fausto Bertinotti.

Nel 1994 un grave incendio devastò i reparti di produzione e lo stabilimento venne trasferito a Varallo Pombia, lasciando solamente un piccolo reparto di filatura nella sede storica.

La chiusura definitiva della sede borgomanerese avvenne pochi anni dopo; trascorso un periodo di stato di abbandono, lo stabilimento venne raso al suolo e si aprì un cantiere. Nel luogo dove migliaia di operai hanno lavorato, luogo di fatica, di sogni, di rivendicazioni sociali, oggi è nato un centro commerciale.

A cura di Fabio Valeggia

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